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ROMA (3 marzo) - Il governo greco corre ai ripari e vara il piano di tagli da 4,8 miliardi di euro per ridurre il deficit pubblico. Le misure di austery prevedono l'aumento dell'Iva dal 19% al 21%, tagli dal 30% al 60% ai bonus percepiti dai lavoratori del settore pubblico a Natale, Pasqua e in agosto (tredicesime e quattordicesime). Aumentano anche le imposte su alcool (+20%), sigarette (+65%), benzina (8 cents in più al litro), gasolio (3 cents) e beni di lusso (fra cui yacht, auto di grossa cilindrata, gioielli).

I provvedimenti colpiranno anche le pensioni del settore privato, fino ad ora mai toccate dal governo, che rimarranno congelate per tutto il 2010. I nuovi tagli non sono stati accolti di buon occhio dal sindacato secondo cui si penalizzano i meno abbienti, mentre si sarebbe dovuto aumentare significativamente la pressione fiscale sui ricchi. Rischia di infiammarsi ulteriormente il clima in vista dello sciopero generale annunciato dall'organizzazione sindacale Adedy per il 16 di marzo. «Queste misure - ha dichiarato un membro del governo presente al cdm - sono dolorose, ma necessarie e in sostanza abbiamo fatto quello che doveva essere fatto, soprattutto per rispondere alle richieste dell'Unione Europea».

Il primo ministro greco George Papandreu: «Abbiamo fatto del nostro meglio». Al termine del cdm il premier ha sottolineato che si tratta di misure da «stato di guerra. Ora l'Unione Europea deve fare il suo. La Grecia è nell'occhio del ciclone e ora attende il sostegno della Ue. Se questo non arriverà, la Grecia si rivolgerà al Fmi».

Josè Barroso: «Do il benvenuto al piano del governo greco». È questo il commento del presidente della Commissione europea, che sottolinea come le decisioni prese oggi costituiscono «un forte segnale che dimostra la soluzione di responsabilità. Siamo solidali con il paese e ora l'ambizioso programma greco per correggere gli squilibri di bilancio è nella buona direzione, le misure aggiuntive annunciate oggi includono appropriatamente tagli di spesa, in particolare risparmi sugli stipendi pubblici che sono essenziali per raggiungere effetti permanenti di consolidamento e restaurare la competitività».

(ANSA) - ROMA, 5 GEN - Alle critiche dei vertici del Pd, Antonio Di Pietro risponde con un ultimatum: 'scelgano se stare con l'Idv o con Berlusconi'. 'Prendiamo atto che secondo diversi dirigenti del Pd -dice Di Pietro- i veri guai sarebbero quelli creati dall'opposizione dell'Idv. Noi riteniamo invece che sia il malgoverno di questo centrodestra. Allora chiediamo al Pd: vuoi stare con noi o con Berlusconi? Si decidano, cosi' anche noi faremo le nostre scelte in vista delle elezioni'.

BASTA INCIUCI!!!!!!!!!!!!!!

L'occupazione nelle grandi imprese a ottobre è diminuita dell'1,9% rispetto allo stesso mese del 2008 ed è rimasta invariata rispetto a settembre 2009. Lo comunica l'Istat precisando che al netto della cassa integrazione guadagni il calo è stato del 3,7% su base annua, mentre si è registrata una variazione nulla su base mensile. Se si prendono in considerazione solo le grandi aziende dell'industria l'occupazione è calata del 3,7% rispetto a un anno fa (il dato peggiore da novembre 2002).

Quanto alla cassa integrazione ordinaria, a ottobre nelle grandi imprese sono state utilizzate 38,2 ore per ogni mille ore lavorate contro le 15,8 ogni mille dell'ottobre 2008. Nel confronto tra i primi dieci mesi del 2009 e il corrispondente periodo del 2008, il ricorso alla cig ha registrato un incremento di 31,2 ore per ogni mille ore lavorate. Nella grande industria questo dato schizza a 94 ore ogni mille lavorate rispetto alle 39,7 del 2008. Il ricorso alla cig è cresciuto, anche se a tassi più ridotti, anche nelle grandi aziende dei servizi.

A ottobre, oltretutto, l'Istat ha registrato anche una diminuzione congiunturale (al netto della stagionalità) dello 0,4% delle retribuzioni. La variazione tendenziale di ottobre, misurata sull'indice grezzo, è del +4,5%, mentre anno su anno (primi 10 mesi) la retribuzione lorda per ora lavorata ha registrato un incremento dell'1,6%.

Tornando all'occupazione nell'industria, i settori più colpiti dal calo sono la farmaceutica con un -8,3%, computer, elettronica e ottica -7%, articoli in gomma e plastiche nonché macchinari e attrezzature -5,6%.
(30 dicembre 2009)

24 dicembre, 17:13
NEW YORK - Il Senato degli Stati Uniti ha approvato la sua versione della riforma della sanità. Il Senato ha adottato la legge di riforma 60 voti a favore e 39 contro, sotto la presidenza del vice-presidente Joe Biden che ha poi raggiunto il presidente Obama alla Casa Bianca per una dichiarazione. La riforma deve passare adesso attraverso un complesso processo di conciliazione con il testo della Camera che ha varato una sua versione della legge ai primi di novembre. Per approvare il pacchetto di misure tese a dare la mutua a 30 milioni di americani che attualmente non l'hanno serviva la maggioranza semplice dei presenti. I democratici hanno dato un forte segnale politico dimostrando l'unità del gruppo dopo settimane di divisioni sull'insieme delle misure da portare in aula.

Tecnicamente la riforma sanitaria taglierà il filo di lana solo tra qualche settimana quando Camera e Senato, dopo avere unificato i due testi approvati (la Camera il mese scorso e il Senato oggi), torneranno a votare il testo finale per poi inviarlo alla firma del presidente Barack Obama.

Ma la vera battaglia politica si chiude con il voto del Senato che consente al presidente Obama di partire per le sue vacanze natalizie alle Hawaii (che aveva rinviato per seguire da Washington le battute finali della battaglia al Congresso) con la certezza di avere mantenuto la promessa più importante fatta agli americani: dare la copertura sanitaria a 30 milioni di cittadini che ne erano privi, il punto più importante della sua agenda legislativa per il suo primo anno alla Casa Bianca. Per decenni una lunga serie di inquilini della Casa Bianca aveva cercato di spingere la riforma della assistenza sanitaria (una necessità che nessuno ha mai messo in dubbio) attraverso le acque insidiose del Congresso. Ogni volta il tentativo era naufragato.

Ci aveva provato anche Bill Clinton affidando la difficile impresa alla first lady Hillary, che aveva consultato per mesi esperti per mettere a punto uno splendido progetto che era stato platealmente ignorato dal Congresso, umiliando la povera Hillary e facendo fremere di rabbia Bill. Obama ha fatto tesoro della lezione limitandosi stavolta ad enunciare i principi di base della riforma ma lasciando al Congresso, in particolare ai leader democratici della Camera e del Senato, il compito di fare il lavoro di bassa cucina, mettendo a punto dopo accese battaglie con i repubblicani i dettagli della legislazione.

Durante l'estate il dibattito era degenerato, con i repubblicani in cattedra per dimostrare che la riforma sarebbe stata la fonte di ogni male (dall'affossamento del bilancio federale alla eutanasia degli anziani di famiglia), i democratici sulla difensiva e il presidente Obama insolitamente silenzioso. Un errore, da parte della Casa Bianca, che Obama ha cercato di rimediare a partire da settembre impegnandosi in prima persona, tornando in assetto da campagna elettorale, per dimostrare agli americani la importanza della riforma ed i suoi vantaggi per tutti. Ma oltre a convincere gli americani, la Casa Bianca ha dovuto convincere anche i parlamentari moderati del partito democratico che sono riusciti ad ottenere, in cambio del loro prezioso sostegno, ingenti contropartite economiche a beneficio degli stati che rappresentano al Congresso. Adesso i repubblicani, esaurite le armi per bloccare il passaggio della riforma, sperano di poter usare la legge a loro beneficio nella campagna elettorale delle elezioni di midterm del 2010 additando agli americani gli aspetti negativi della riforma e incitando gli elettori a farla pagare ai parlamentari democratici che l'hanno sostenuta.

OBAMA, VOTO STORICO SU GRANDE RIFORMA - Un voto ''storico'' su una ''grande riforma'': cosi' il presidente Barack Obama ha salutato alla Casa Bianca l'approvazione della legge sulla sanita' oggi al Senato che ''permettera' a 30 milioni di americani senza la mutua di accedere a una copertura sanitaria alla portata delle loro tasche''. Con il passaggio delle leggi di riforma sia alla Camera che al Senato ''siamo finalmente vicini a porre in atto la promessa di una riforma della sanita' reale e significativa che dara' ulteriore sicurezza e stabilita' al popolo americano'', ha detto il presidente americano commentando il voto di oggi nella State Dining Room della Casa Bianca, al suo fianco il vice preisdente Joe Biden.

Per Obama ''queste non sono piccole riforme. Sono grandi riforme. Se approvata, questa sara' la riforma sociale piu' importante dai tempi della Social Security negli anni Trenta e la piu' importante riforma del settore sanitario da quando negli anni sessanta e' stata istituita Medicare, la mutua per gli anziani''. La versione del Senato della riforma della sanita' e' stata approvata oggi con 60 voti a favore e 39 contro. La Camera ha approvato la sua versione della legge il 7 novembre.







A sentire lui doveva ottenere un pò di più...

APRILE 29, 2009 AT 22:00

di VALERIA ROSSI - Ovviamente gliel’hanno dato a Berlino: in Italia la libertà di stampa non si premia.
In Italia dà fastidio, si cerca in ogni modo di punirla, se non si temesse un danno di immagine (e non altro) si tenderebbe magari a gambizzare chi ne fa uso. In Germania, invece, Marco Travaglio ha ricevuto il premio dall’associazione dei giornalisti tedeschi Djv.
Siccome TUTTI i giornali italiani hanno dato IMMENSO rilievo alla cosa, noi non lo sapevamo neppure.
Anzi, sto mentendo: la voce mi era arrivata (via Facebook) e sono stata io a dimenticarmi non l’avvenimento, ma la data; però posso dire che i media italiani non hanno fatto granché per rinfrescarmi la memoria.
Strano, perché quando la stessa persona è stata condannata (solo in primo grado) per diffamazione (cosa che succede praticamente a tutti i giornalisti: io mi son presa tre querele scrivendo su riviste cinofile!) è finito in prima pagina praticamente su tutti i giornali.
Vabbe’, passiamo alla motivazione, che è meglio: Travaglio è stato premiato “per il suo coraggioso e instancabile impegno per la libertà di stampa in Italia” e “per la sua tenacia nel continuare a criticare anche là dove gli altri hanno rinunciato da tempo a farlo” .
L’ha detto il presidente del Djv, Michael Konken, sempre considerando questi fattori come pregi degni di nota (e di premio), anziché come difetti gravissimi. Son proprio gente strana, ’sti tedeschi …
Comunque sia, seppure in ritardo, ci complimentiamo con Marco Travaglio che - possa piacere o meno - è e resta un esempio importante di persona che ha (ancora) il coraggio di dire quello che pensa.
Personalmente continuo a trovare quantomeno insolito che un simile premio venga conferito non ad un giornalista che vive sotto dittatura, rischiando la vita ad ogni frase scritta, ma ad un signore che vive in un Paese governato da quello che viene definito “Popolo della Libertà“. Ma che volete farci? Forse, un po’ strani, lo siamo anche noi italiani.

2009-04-28 13:39
ROMA - L'Organizzazione mondiale della sanita' (Oms) ha alzato il livello di allerta per l'influenza da suini dalla fase tre alla fase quattro. In Messico, dove il focolaio si e' manifestato, il numero dei morti e' salito a 152 mentre il virus arriva anche nella Ue. Negli Usa siamo a oltre 40 casi.

SECONDO CASO ACCERTATO IN SPAGNA - Un secondo caso accertato di influenza da suini è stato registrato in Spagna: lo riferisce la stampa spagnola citando dichiarazioni del ministro della Sanità Trinidad Jimenez. Il nuovo caso è stato registrato a Valencia. Secondo il ministro tuttavia, "data la evoluzione del suo stato, il paziente sarà dimesso nelle prossime ore". Il ministro ha inoltre indicato che anche il giovane di cui è stato accertato il contagio ieri presenta una evoluzione positiva e potrebbe a sua volta essere dimesso "nelle prossime ore".

ISRAELE, CONFERMATO PRIMO CASO CONTAGIO - E' effettivamente contagiato il giovane israeliano rientrato la settimana scorsa dal Messico e poi ricoverato nell'ospedale Laniado di Natanya (a nord di Tel Aviv). Le condizioni del malato, Tomer Wajim, sono buone ma resta ancora in isolamento, ha aggiunto il ministero.

NUOVA ZELANDA, CONFERMATI PRIMI TRE CASI - Il governo neozelandese ha reso noto che sono diagnosticati i primi tre casi di influenza da suini tra gli oltre 50 pazienti ricoverati nel paese. Lo ha detto il ministro della Sanità, Tony Ryall.

MESSICO, BILANCIO MORTI SALE A 152
Il bilancio ''probabile'' e provvisorio dell'epidemia di influenza da suini in Messico sale a 152 morti. Lo ha annunciato il ministro della Sanita' messicano, Jose' Angel Cordova. Cordova, in una dichiarazione precedente, aveva evocato un possibile rallentamento nel ritmo dei decessi a causa dell'influenza dei suini.

FARNESINA SCONSIGLIA VIAGGI IN TUTTO MESSICO - La Farnesina sconsiglia, fino a nuovo avviso, viaggi in tutto il territorio della Repubblica Messicana che non siano strettamente necessari. E' quanto è scritto nell'annuncio pubblicato oggi nella sezione Avvisi particolari del sito della Farnesina 'Viaggiare sicuri'. "Nelle ultime settimane - recita l'avviso - si è registrato in Messico un aumento di casi di influenza acuta, identificata come 'influenza suina'. Alla luce dei nuovi focolai che hanno interessato anche quegli Stati del Messico che fino al 27 aprile risultavano apparentemente immuni dal fenomeno ed anche dal livello di allerta dell'Oms, si sconsigliano, fino a nuovo avviso, viaggi in tutto il territorio della Repubblica Messicana che non siano strettamente necessari". La Farnesina informa poi che "per evitare il contagio è stato raccomandato alla popolazione di evitare la frequentazione di luoghi pubblici, di avere particolare attenzione nella cura dell'igiene personale e di rivolgersi alle strutture sanitarie locali in presenza di sintomi influenzali". Quindi, raccomanda a coloro che intendano recarsi nel Paese di "attenersi alle indicazioni diffuse dalle Autorità locali".

CINA: OMS, DIVERSI CASI SOSPETTI - Diverse persone sospettate di essere portatrici del virus dell'influenza da suini sono in osservazione in Cina. Lo ha reso noto Hans Troedsson, rappresentante dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel Paese.

PER OMS NESSUN PAESE IMMUNE DA RISCHIO - Nella sua conferenza stampa, il numero due dell'Oms ha detto che ''nessun paese e' immune da rischio'' e che chiudere le frontiere nella speranza di arginare il virus non servirebbe a niente. Fukuda ha spiegato anche che la fase quattro indica ''un significativo aumento'' del livello d'allerta, ma che non significa che una pandemia e' ormai inevitabile. L'Oms a considera prudente per le persone malate di rinviare viaggi all'estero. Per mettere a punto un vaccino, ha poi aggiunto, ci vorranno sei mesi e per produrne in grossi quantitativi occorrera' molto piu' tempo.

07:21 Oltre 1600 casi
Il ministero della Sanità del Messico ha annunciato che i casi accertati di febbre suina nel paese sono 1.614
07:09 Negativi i test sui due casi australiani
Due persone tornate dal Messico con sintomi influenzali sospetti sono state ricoverate in ospedale in australia e sottoposte ad analisi della febbre suina. Gli esami hanno dato esito negativo. Lo ha annunciato la portavoce del primo ministro dello stato del queensland, Anna Bligh. "Abbiamo avuto due casi di persone sospettate di essere state contagiate dalla febbre suina. Le due persone sono state sottoposte a analisi che si sono rivelate negative" ha dichiarato all'Afp la portavoce.
07:08 Il bilancio sale a 103 morti
Il governo messicano ha quantificato in 103 il numero dei decessi che si sospetta siano dovuti all'epidemia da febbre suina. Sono 1.614 le persone ricoverate in ospedale. Il ministro della Salute, Josè Angel Cordova, ha assicurato che continua l'attività di prevenzione e la distribuzione dei medicinali.

Contiene immagini molto crude. Consiglio la visione ad un publlico adulto.

La questione del Tibet è piuttosto complessa e problematica, per via delle forze e degli interessi che vi ruotano attorno. Innanzitutto c’è la spinta cinese, che ha sempre avanzato pretese di sovranità sulla regione per motivazioni storiche: è proprio questa motivazione che nel 1950 ha portato Pechino a “riprendersi” il territorio reclamato, un territorio il cui controllo permette di avere sia un avamposto strategico nel cuore dell’Asia- cavallo fra India, Nepal e Pakistan- sia uno snodo strategico verso i paesi dell’ex Unione Sovietica. 
Oltre alle valenze geografico-politiche, i cinesi hanno forti motivazioni economiche che li spingono a rimanere presenti sul territorio: prima fra tutte, la possibilità di sfruttare le risorse naturali di cui è ricca l’area in questione. L’acqua da sola, infatti, permette alla Cina attuale di rispondere alle esigenze idroelettriche richieste da una crescita come quella in atto nel Paese, mentre l’import-export frutta all’erario cinese 130 milioni di dollari annui. 
Per ottenere una maggiore penetrazione nel territorio ed un migliore controllo della regione, i cinesi hanno diviso il territorio in cinque regioni diverse, e hanno portato avanti una vera e propria colonizzazione politico-economica dell’area, relegando i tibetani ai ruoli marginali della vita politica, economica e sociale. 
La contestazione della validità del trattato internazionale che nel 1951 ha sancito il riconoscimento della sovranità cinese sul Tibet, la denuncia della violazione dei diritti umani, unitamente all’intensa attività diplomatica del Dalai Lama, hanno indotto la comunità internazionale a interessarsi della situazione in atto in Tibet e ad adoperarsi per una sua risoluzione. Ciò anche grazie alla spinta dell’International Tibet Support Network, una rete di associazioni creata dagli esuli tibetani residenti nei vari paesi e sostenuta dal governo in esilio di Dharamsala, che preme sui governi dei vari paesi proprio per portare le varie amministrazioni al fianco della causa tibetana. 
Concessioni ai tibetani aprirebbero uguali rivendicazioni da parte di altre etnie, rendendo instabile il Paese in più di una regione. 
Da questo punto di vista, l’interesse internazionale è che Pechino mantenga il suo ruolo di punto di riferimento dell’area e, nello stesso tempo, il pur ribadito impegno verso il Tibet- comunque non rivolto all’indipendenza dello stesso - viene sacrificato a possibilità e necessità economiche ben più concrete: gli Stati Uniti, infatti, se da una parte hanno espresso solidarietà alla causa tibetana, dall’altra hanno oggi necessità di ottenere da Pechino una fluttuazione della valuta cinese ed un riequilibrio degli scambi commerciali, dato che la Cina ha un enorme surplus su Washington; quanto all’Europa, la preoccupazione per il ristagno dell’economia da un lato e per l’invasione dei prodotti cinesi dall’altro fanno stemperare gli impegni presi a livello formale per il rispetto dei diritti umani in Cina e per la questione tibetana. 
Infine, la situazione è cambiata all’indomani dell’undici settembre e alla politica estera americana che ne è derivata: avendo Pechino impedito- con la chiusura della frontiera con l’Afghanistan- la fuga di Bin Laden nello stato uighuro-musulmano dello Xinjiang, può ora ottenere da Washington un atteggiamento più morbido circa la situazione tibetana. Oltre a ciò gli eventi successivi all’attentato alle torri gemelle, hanno fornito alle autorità pechinesi una legittimazione della repressione in atto in Tibet, giustificata ora come lotta interna ai separatisti e ai terroristi tibetani. 
La comunità internazionale oscilla dunque fra condanne alla Cina e solidarietà al Tibet da una parte, e il soddisfacimento di interessi politici, economici e commerciali più sostanziosi dall’altra: nonostante numerose risoluzioni approvate da vari paesi- in Europa come in Nord America- e l’istituzione di gruppi interparlamentari pro Tibet, i risultati concreti conseguiti a favore di esso sono infatti pochi. 
La coesistenza di tutti questi interessi e soggetti in gioco, rende difficile ogni previsione circa una possibile risoluzione della situazione tibetana nel breve periodo: solo il tempo e la futura combinazione delle diverse spinte permetteranno di capire se e come si risolverà la questione del Tibet.

Emanuele Bonini (Gli aspetti geopolitici del Tibet, tesi di Laurea)

www.tesionline.it

Il giuramento di Barack Obama, 44esimo presidente degli Stati UnitiWashington, 20 gennaio


2009 - Il testo integrale del discorso inaugurale di Barack Obama come presidente degli Stati Uniti d’America.

Rimettiamoci al lavoro insieme per ricostruire una grande America

di BARACK OBAMA

OGGI mi trovo di fronte a voi, umile per il compito che ci aspetta, grato per la fiducia che mi avete accordato, cosciente dei sacrifici compiuti dai nostri avi. Ringrazio il presidente Bush per il servizio reso alla nostra nazione, e per la generosità e la cooperazione che ha mostrato durante questa transizione.
Quarantaquattro americani hanno pronunciato il giuramento presidenziale. Queste parole sono risuonate in tempi di alte maree di prosperità e di calme acque di pace. Ma spesso il giuramento è stato pronunciato nel mezzo di nubi tempestose e di uragani violenti. In quei momenti, l’America è andata avanti non solo grazie alla bravura o alla capacità visionaria di coloro che ricoprivano gli incarichi più alti, ma grazie al fatto che Noi, il Popolo, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati e alle nostre carte fondamentali.
Così è stato finora. Così deve essere per questa generazione di americani.
E’ ormai ben chiaro che ci troviamo nel mezzo di una crisi. La nostra nazione è in guerra contro una rete di violenza e di odio che arriva lontano. La nostra economia si è fortemente indebolita, conseguenza della grettezza e dell’irresponsabilità di alcuni, ma anche della nostra collettiva incapacità di compiere scelte difficili e preparare la nostra nazione per una nuova era. C’è chi ha perso la casa. Sono stati cancellati posti di lavoro. Imprese sono sparite. Il nostro servizio sanitario è troppo costoso. Le nostre scuole perdono troppi giovani. E ogni giorno porta nuove prove del fatto che il modo in cui usiamo le risorse energetiche rafforza i nostri avversari e minaccia il nostro pianeta.
Questi sono gli indicatori della crisi, soggetti ad analisi statistiche e dati. Meno misurabile ma non meno profonda invece è la perdita di fiducia che attraversa la nostra terra - un timore fastidioso che il declino americano sia inevitabile e la prossima generazione debba avere aspettative più basse.
Oggi vi dico che le sfide che abbiamo di fronte sono reali. Sono serie e sono numerose. Affrontarle non sarà cosa facile né rapida. Ma America, sappilo: le affronteremo.
Oggi siamo riuniti qui perché abbiamo scelto la speranza rispetto alla paura, l’unità degli intenti rispetto al conflitto e alla discordia.
Oggi siamo qui per proclamare la fine delle recriminazioni meschine e delle false promesse, dei dogmi stanchi, che troppo a lungo hanno strangolato la nostra politica.
Siamo ancora una nazione giovane, ma - come dicono le Scritture - è arrivato il momento di mettere da parte gli infantilismi. E’ venuto il momento di riaffermare il nostro spirito tenace, di scegliere la nostra storia migliore, di portare avanti quel dono prezioso, l’idea nobile, passata di generazione in generazione: la promessa divina che tutti siamo uguali, tutti siamo liberi e tutti meritiamo una possibilità di perseguire la felicità in tutta la sua pienezza.
Nel riaffermare la grandezza della nostra nazione, ci rendiamo conto che la grandezza non è mai scontata. Bisogna guadagnarsela. Il nostro viaggio non è mai stato fatto di scorciatoie, non ci siamo mai accontentati. Non è mai stato un sentiero per incerti, per quelli che preferiscono il divertimento al lavoro, o che cercano solo i piaceri dei ricchi e la fama.
Sono stati invece coloro che hanno saputo osare, che hanno agito, coloro che hanno creato cose - alcuni celebrati, ma più spesso uomini e donne rimasti oscuri nel loro lavoro, che hanno portato avanti il lungo, accidentato cammino verso la prosperità e la libertà.
Per noi, hanno messo in valigia quel poco che possedevano e hanno attraversato gli oceani in cerca di una nuova vita.
Per noi, hanno faticato in aziende che li sfruttavano e si sono stabiliti nell’Ovest. Hanno sopportato la frusta e arato la terra dura.Per noi, hanno combattuto e sono morti, in posti come Concord e Gettysburg; in Normandia e a Khe Sahn.Questi uomini e donne hanno lottato e si sono sacrificati e hanno lavorato finché le loro mani sono diventate ruvide per permettere a noi di vivere una vita migliore. Hanno visto nell’America qualcosa di più grande che una somma delle nostre ambizioni individuali; più grande di tutte le differenze di nascita, censo o fazione.
Questo è il viaggio che continuiamo oggi. Rimaniamo la nazione più prospera, più potente della Terra. I nostri lavoratori non sono meno produttivi rispetto a quando è cominciata la crisi. Le nostre menti non sono meno inventive, i nostri beni e servizi non meno necessari di quanto lo fossero la settimana scorsa, o il mese scorso o l’anno scorso. Le nostre capacità rimangono inalterate. Ma è di certo passato il tempo dell’immobilismo, della protezione di interessi ristretti e del rinvio di decisioni spiacevoli. A partire da oggi, dobbiamo rialzarci, toglierci di dosso la polvere, e ricominciare il lavoro della ricostruzione dell’America.
Perché ovunque volgiamo lo sguardo, c’è lavoro da fare. Lo stato dell’economia richiede un’azione, forte e rapida, e noi agiremo - non solo per creare nuovi posti di lavoro, ma per gettare le nuova fondamenta della crescita.
Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche e le linee digitali che alimentano i nostri commerci e ci legano gli uni agli altri. Restituiremo alla scienza il suo giusto posto e maneggeremo le meraviglie della tecnologia in modo da risollevare la qualità dell’assistenza sanitaria e abbassarne i costi.
Imbriglieremo il sole e i venti e il suolo per alimentare le nostre auto e mandare avanti le nostre fabbriche.E trasformeremo le nostre scuole, i college e le università per venire incontro alle esigenze dei tempi nuovi. Possiamo farcela. E lo faremo.
Ora, ci sono alcuni che contestano le dimensioni delle nostre ambizioni - pensando che il nostro sistema non può tollerare troppi grandi progetti. Costoro hanno corta memoria. Perché dimenticano quel che questo paese ha già fatto. Quel che uomini e donne possono ottenere quando l’immaginazione si unisce alla volontà comune, e la necessità al coraggio.
Quel che i cinici non riescono a capire è che il terreno gli è scivolato sotto i piedi. Gli argomenti politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non sono più applicabili. La domanda che formuliamo oggi non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo, ma se funzioni o meno - se aiuti le famiglie a trovare un lavoro decentemente pagato, cure accessibili, una pensione degna. Laddove la risposta sia positiva, noi intendiamo andare avanti. Dove sia negativa, metteremo fine a quelle politiche. E coloro che gestiscono i soldi della collettività saranno chiamati a risponderne, affinché spendano in modo saggio, riformino le cattive abitudini, e facciano i loro affari alla luce del sole - perché solo allora potremo restaurare la vitale fiducia tra il popolo e il suo governo.
La questione di fronte a noi non è se il mercato sia una forza del bene o del male. Il suo potere di generare benessere ed espandere la libertà è rimasto intatto. Ma la crisi ci ricorda che senza un occhio rigoroso, il mercato può andare fuori controllo e la nazione non può prosperare a lungo quando il mercato favorisce solo i già ricchi. Il successo della nostra economia è sempre dipeso non solo dalle dimensioni del nostro Pil, ma dall’ampiezza della nostra prosperità, dalla nostra capacità di estendere le opportunità per tutti coloro che abbiano volontà - non per fare beneficenza ma perché è la strada più sicura per il nostro bene comune.
Quanto alla nostra difesa comune, noi respingiamo come falsa la scelta tra sicurezza e ideali. I nostri Padri Fondatori, messi di fronte a pericoli che noi a mala pena riusciamo a immaginare, hanno stilato una carta che garantisca l’autorità della legge e i diritti dell’individuo, una carta che si è espansa con il sangue delle generazioni. Quegli ideali illuminano ancora il mondo, e noi non vi rinunceremo in nome di qualche espediente. E così, per tutti i popoli e i governi che ci guardano oggi, dalle più grandi capitali al piccolo villaggio dove è nato mio padre: sappiate che l’America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che sia alla ricerca di un futuro di pace e dignità, e che noi siamo pronti ad aprire la strada ancora una volta.
Ricordiamoci che le precedenti generazioni hanno sgominato il fascismo e il comunismo non solo con i missili e i carriarmati, ma con alleanze solide e convinzioni tenaci. Hanno capito che il nostro potere da solo non può proteggerci, né ci autorizza a fare come più ci aggrada. Al contrario, sapevano che il nostro potere cresce quanto più lo si usa con prudenza. La nostra sicurezza emana dalla giustezza della nostra causa, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità dell’umiltà e del ritegno.
Noi siamo i custodi di questa eredità. Guidati ancora una volta dai principi, possiamo affrontare le nuove minacce che richiederanno sforzi ancora maggiori - una cooperazione e comprensione ancora maggiori tra le nazioni. Cominceremo a lasciare responsabilmente l’Iraq alla sua gente, e a forgiare una pace duramente guadagnata in Afghanistan. Con i vecchi amici e i vecchi nemici, lavoreremo senza sosta per diminuire la minaccia nucleare, e respingere lo spettro di un pianeta che si surriscalda. Non chiederemo scusa per il nostro stile di vita, né ci batteremo in sua difesa. E a coloro che cercano di raggiungere i propri obiettivi creando terrore e massacrando gli innocenti, noi diciamo adesso che il nostro spirito è più forte e non può essere infranto. Voi non ci sopravviverete, e noi vi sconfiggeremo.
Perché noi sappiamo che il nostro retaggio “a patchwork” è una forza e non una debolezza. Noi siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e induisti e non credenti. Noi siamo formati da ciascun linguaggio e cultura disegnata in ogni angolo di questa Terra; e poiché abbiamo assaggiato l’amaro sapore della Guerra civile e della segregazione razziale e siamo emersi da quell’oscuro capitolo più forti e più uniti, noi non possiamo far altro che credere che i vecchi odi prima o poi passeranno, che le linee tribali saranno presto dissolte, che se il mondo si è rimpicciolito, la nostra comune umanità dovrà riscoprire se stessa; e che l’America deve giocare il suo ruolo nel far entrare il mondo in una nuova era di pace.
Per il mondo musulmano noi indichiamo una nuova strada, basata sul reciproco interesse e sul mutuo rispetto. A quei leader in giro per il mondo che cercano di fomentare conflitti o scaricano sull’Occidente i mali delle loro società - sappiate che i vostri popoli vi giudicheranno su quello che sapete costruire, non su quello che distruggete. A quelli che arrivano al potere attraverso la corruzione e la disonestà e mettendo a tacere il dissenso, sappiate che siete dalla parte sbagliata della Storia; ma che vi tenderemo la mano se sarete pronti ad aprire il vostro pugno.
Alla gente delle nazioni povere, noi promettiamo di lavorare insieme per far fiorire le vostre campagne e per pulire i vostri corsi d’acqua; per nutrire i corpi e le menti affamate. E a quelle nazioni, come la nostra. che godono di una relativa ricchezza, noi diciamo che non si può più sopportare l’indifferenza verso chi soffre fuori dai nostri confini; né noi possiamo continuare a consumare le risorse del mondo senza considerare gli effetti. Perché il mondo è cambiato e noi dobbiamo cambiare con esso.
Se consideriamo la strada che si apre davanti a noi, noi dobbiamo ricordare con umile gratitudine quegli americani coraggiosi che, proprio in queste ore, controllano lontani deserti e montagne. Essi hanno qualcosa da dirci oggi, proprio come gli eroi caduti che giacciono ad Arlington mormorano attraverso il tempo. Noi li onoriamo non solo perché sono i guardiani della nostra libertà, ma perché essi incarnano lo spirito di servizio: una volontà di trovare significato in qualcosa più grande di loro. In questo momento - un momento che definirà una generazione - è precisamente questo lo spirito che deve abitare in tutti noi.
Per tanto che un governo possa e debba fare, alla fine è sulla fede e la determinazione del popolo americano che questa nazione si fonda. E’ la gentilezza nell’accogliere uno straniero quando gli argini si rompono, la generosità dei lavoratori che preferiscono tagliare il proprio orario di lavoro piuttosto che vedere un amico perdere il posto, che ci hanno guidato nei nostri momenti più oscuri. E’ il coraggio dei vigili del fuoco nel precipitarsi in una scala invasa dal fumo, ma anche la volontà di un genitore di nutrire il proprio figlio, che alla fine decidono del nostro destino.
Forse le nostre sfide sono nuove. Gli strumenti con cui le affrontiamo forse sono nuovi. Ma i valori da cui dipende il nostro successo - lavoro duro e onestà, coraggio e fair play, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo - tutto questo è vecchio. Sono cose vere. Sono state la forza tranquilla del progresso nel corso di tutta la nostra storia. Quel che è necessario ora è un ritorno a queste verità. Quel che ci viene chiesto è una nuova era di responsabilità - il riconoscimento, da parte di ogni americano, che abbiamo un dovere verso noi stessi, la nostra nazione, il mondo, doveri che non dobbiamo accettare mugugnando ma abbracciare con gioia, fermi nella consapevolezza che non c’è nulla di più soddisfacente per lo spirito, così importante per la definizione del carattere, che darsi completamente per una causa difficile.
Questo è il prezzo e la promessa della cittadinanza.
Questa è la fonte della nostra fiducia - la consapevolezza che Dio ci ha chiamato a forgiare un destino incerto.
Questo è il significato della nostra libertà e del nostro credo - perché uomini, donne e bambini di ogni razza e di ogni fede possono unirsi nella festa in questo Mall magnifico, e perché un uomo il cui padre meno di sessanta anni fa non avrebbe neanche potuto essere servito in un ristorante ora può trovarsi di fronte a voi per pronunciare il giuramento più sacro di tutti.
Perciò diamo a questa giornata il segno della memoria, di chi siamo e di quanta strada abbiamo fatto. Nell’anno in cui l’America è nata, nel più freddo dei mesi, una piccola banda di patrioti rannicchiati intorno a falò morenti sulle rive di un fiume ghiacciato. La capitale era stata abbandonata. Il nemico avanzava. La neve era macchiata di sangue. Nel momento in cui l’esito della nostra rivoluzione era in dubbio come non mai, il padre della nostra nazione ordinò che si leggessero queste parole al popolo:
“Che si dica al futuro del mondo… che nel profondo dell’inverno, quando possono sopravvivere solo la speranza e la virtù… Che la città e la campagna, allarmate da un pericolo comune, si sono unite per affrontarlo”.
America. Di fronte ai nostri pericoli comuni, in questo inverno dei nostri stenti, ricordiamo queste parole senza tempo. Con speranza e virtù, affrontiamo con coraggio le correnti ghiacciate, e sopportiamo quel che le tempeste ci porteranno. Facciamo sì che i figli dei nostri figli dicano che quando siamo stati messi alla prova non abbiamo permesso che questo viaggio finisse, che non abbiamo voltato le spalle e non siamo caduti. E con gli occhi fissi sull’orizzonte e la grazia di Dio su di noi, abbiamo portato avanti il grande dono della libertà e l’abbiamo consegnato intatto alle generazioni future.
(LA REPUBBLICA 20 gennaio 2009)

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